Esiste una strategia per calmare il rettile che è in tuo figlio, gestendo serenamente quelli che vengono comunemente chiamati “capricci dei bambini”?
“ Ti sei trovata in difficoltà quando hai dovuto dire NO a tuo figlio?”
“ Tuo figlio si è arrabbiato e ha iniziato a lanciare qualsiasi cosa avesse in mano?”
“ Tuo figlio ha iniziato a picchiarti quando sperimenta una frustrazione?”
Se sei una mamma di uno o più bambini e hai vissuto almeno uno di questi momenti, fai un bel respiro e leggi questo articolo fino alla fine.
Ti fornirò una strategia pratica da sperimentare da subito con tuo figlio.
Etichette: il bisogno di definire ogni cosa.

Prima di condividere con te questa strategia, devo darti alcune informazioni base che ti aiuteranno a capire perchè intorno ai 2/3 anni, anche il bambino più calmo e più tranquillo inizia a mettere a dura prova la tua pazienza.
Quando si parla di capricci e bambini, tendiamo ad attribuirgli delle competenze cognitive in realtà troppo sofisficate per la loro età.
Dire che un bambino tra i due e i sette anni sfida l’autorità dei propri genitori e che si “comporta male” volutamente, è di fatto un’inesattezza.
Viviamo in una società che ci ha insegnato a dare un’etichetta a tutto quello che vediamo e ci ha indotto a classificare non solo i comportamenti delle persone, ma anche le persone stesse.
Un bambino che piange perchè non vuole andare a scuola o perchè vuole stare in braccio, è un bambino viziato.
Un bambino che parla poco è un bambino pigro.
Un bambino che si arrabbia perché vuole difendere i propri giochi è un bambino prepotente.
Un bambino di un anno che morde un altro bambino, perché vuole difendere i propri giochi o esprimere il proprio dissenso, è un bambino aggressivo.
Un bambino che piange perché non vuole fare quello che gli viene proposto, è un bambino capriccioso.
Quante volte avete sentito dire che un bambino è furbo, iperattivo, vanitoso o timido?
Come esseri umani abbiamo bisogno di definire ovvero di porre fine. Abbiamo bisogno di dare un senso e un significato a quello che vediamo, a quello che sentiamo e a quello che viviamo.
In questo processo di definizione la nostra mente fa economia, raggruppando sotto un’unica etichetta quei comportamenti considerati simili.
Quando si parla di persone questa strategia non è funzionale, perchè il risultato che otterremo sarà quello di allontanarci sempre di più da quella persona, proprio perché non siamo riusciti a comprendere il suo comportamento.
Nel caso dei nostri bambini il rischio che corriamo è ancora più alto, perché hanno bisogno di noi per capire quello che succede intorno a loro e dentro di loro.
Capricci e bambini: come calmare un cervello in evoluzione.

Perchè i bambini hanno bisogno dell’adulto?
Per rispondere a questa domanda devo necessariamente spiegarti come è strutturato il cervello umano e come si sviluppa il cervello del bambino.
Immagina il cervello come suddiviso in tre parti: una parte primitiva, una parte centrale e una parte superiore.
La parte primitiva viene anche definita “cervello rettiliano”, il quale presiede a tutte le funzioni vitali come fame, respirazione, evacuazione, pressione sanguigna, temperatura ed equilibrio.
La parte centrale invece, viene definita anche “cervello mammifero” o “sistema limbico”, dove risiedono le emozioni, l’esplorazione, il divertimento, le abilità sociali e l’istinto sessuale.
Infine la parte superiore , definita come “neocorteccia”, è la sede tutte le abilità superiori, come la pianificazione del comportamento, le abilità di risolvere un problema, la riflessione, e anche la regolazione emotiva.
Per i primi 7/8 anni della nostra vita, sebbene tutta la struttura sia presente, in realtà le parti che più sviluppate sono le prime due, ovvero il cervello rettiliano e il cervello mammifero. La neocorteccia arriva al suo pieno sviluppo intorno ai 24 anni.
Queste informazioni ci aiutano a capire perché un bambino piccolo quando è arrabbiato e ha un oggetto in mano inizia a lanciarlo, perché si rotola a terra, oppure perchè reagisce urlando a un nostro no.
Non avendo una parte del cervello pienamente sviluppata, in grado di aiutarlo a regolare l’intensità delle proprie emozioni, ci porta al punto fondamentale della questione.
Non decide di non gestire le sue emozione intenzionalmente o di non calmarsi apposta, semplicemente non può farlo.
Dalla simbiosi al distacco
(ovvero dal “Io sono un tutt’uno con mamma/papà” a “Io esisto e sono una persona distinta da mamma/papà”)

Per il primo anno di vita il bambino vive in simbiosi con la madre e si percepisce come tutt’uno con chi si prende cura di lui.
Intorno ai 2/3 anni inizia a percepirsi come persona diversa dalla figura di attaccamento, iniziando a sperimentare come i suoi comportamenti e quindi le sue azioni, hanno un impatto sulla vita degli altri e sul contesto di riferimento.
In questa fase lui vuole osservare come risponde l’ambiente, che nel suo caso sono soprattutto i genitori e gli adulti di riferimento.
Quando dice di no e si oppone alla volontà dell’adulto, in realtà sta compiendo un passo molto importante per la sua identità di persona diversa da tutto il resto.
Quindi ad esempio quando porti tuo figlio al supermercato e inizia a piangere per qualsiasi cosa, si rotola a terra perchè vorrebbe toccare qualsiasi oggetto e tu gli hai detto di no,in realtà non è che lui non voglia ascoltarti, lui non può fare quello che tu gli chiedi.
Non ha pienamente sviluppato quelle abilità che gli permettono di capire che state facendo la spesa e che quindi ad esempio, non potete passare avanti ad un altra persona che sta facendo la fila e che è prima di voi.
Quella sensazione che prova dentro di sé, probabilmente è stanchezza, noia, irritabilità e non capisce che è inutile iniziare ad urlare per cambiare le cose.
Tutte queste cose tuo figlio non può capirle e tu hai la possibilità di insegnargli come gestire una situazione del genere, proprio in virtù della risposta che gli darai.
Pertanto se tu inizi ad urlare insieme a lui o più di lui, se lo guardi con fare minaccioso dicendogli di smetterla di non fare tutti questi capricci, di non piangere e di aspettare perchè ancora non è arrivato il vostro turno, in quel momento avrai stimolato il rettile che è in lui.
Tu stai parlando a un cervello primitivo, in grado solo di attaccare o di fuggire.
Di conseguenza con molta probabilità lui ti attaccherà a sua volta, iniziando ad urlare e a piangere ancora più forte.
Il tuo bambino in quel momento sta vivendo un’emozione o un misto di emozioni per lui incomprensibili.
Non sa come gestirle e non sa nemmeno che prima o poi l’intensità di quelle emozioni si abbasserà.
I bambini vivono nel “qui e ora” e non hanno la percezione del concetto emozionale transitorio per cui prima o poi quell’intensità diminuirà. Per loro un’emozione dura per tanto tempo o per sempre e in quel momento tu sei per lui quel porto sicuro dove ripararsi e fare pace dopo la tempesta.
Come calmare il rettile che è in tuo figlio?

Quindi cosa puoi fare nel concreto?
Quando tuo figlio inizia a piangere, a dimenarsi, a urlare, a rotolarsi per terra, fermati un attimo e chiediti: quale bisogno sta manifestando in questo preciso momento?
È affamato? È stanco? È annoiato? È arrabbiato? Si sente solo?
Abbassati alla sua altezza, guardalo negli occhi, costruisci un contatto con lui e traduci in parole quello che vedi e che pensi stia provando in quel momento.
“ Stiamo facendo la spesa, ora siamo in fila e tu vorresti tornare subito a casa perchè sei molto stanco. Ti capisco, neanche a me va di stare in fila e vorrei andare a casa.”
Offrirgli delle alternative:
“ Se vuoi posso prenderti in braccio finchè non arriva il nostro turno”
Oppure:
“ Vuoi aiutarmi ad imbustare la spesa e appena torniamo a casa ci sdraiamo sul divano e ci facciamo tante coccole? ”
Cosa hai fatto con questa comunicazione? Hai ascoltato il suo bisogno.
Tuo figlio si è sentito compreso, sei andata oltre il comportamento e sei entrata in connessione con lui.
Non hai svalutato la sua emozione, ma gli hai dato un nome.
Il primo passo per iniziare a gestire un’emozione è vedere quell’emozione e darle un nome. In questo modo gli hai dato un’alternativa proiettandolo in un futuro imminente e aiutandolo in un passaggio che lui da solo non sa fare.
Dopo questa spiegazione sei d’accordo con me che i capricci non esistono?
Oppure pensi che ancora esistono?
E tu riesci a comprendere i bisogni dei tuoi figli, entrando in sintornia con loro?
Ti senti di averle provate tutte, ma continui a sentirti una mamma insicura, inadeguata, frustrata e infelice?
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