Quali sono gli ingredienti della grinta? È una competenza innata o si può “imparare” a essere grintosi? Come possiamo educare alla grinta?
Quante volte vi sarà capitato di dire, o sentir dire: “Quello è proprio un genio!”, o al contrario: “Guarda che non sei un genio!”.
Che tipo di credenza c’è alla base di tali affermazioni?
Per rispondere a queste domane dobbiamo necessariamente fare riferimento al “talento”, definita come “dote, propensione a qualcosa, capacità in un’attività, in un settore…” e quando si parla di talento automaticamente il pensiero va al successo.
Che cos’è il successo?
Chi sono le persone di successo?
Quali sono le loro caratteristiche?
Siamo sempre più esposti a programmi televisivi che mettono in luce persone di talento, basti pensare ai “talent show” come X Factor e America/Italia’s Got Talent.
Che male c’è a chiamare “talent show” un programma che in effetti mette in mostra persone di talento?
Se l’è chiesto anche Angela Duckworth (autrice del libro “Grinta: il potere della passione e della perseveranza”) e a suo avviso, la ragione principale di preoccupazione è semplice: “Concentrando i riflettori sul talento, si rischia di lasciare in ombra tutto il resto.
Senza volere – dice – comunichiamo il messaggio che altri fattori – compresa la grinta – non abbiano poi tanta importanza”.
Perché permane la tendenza inconscia a privilegiare il talento innato?
Per l’autrice sembrerebbe che quando non possiamo vedere facilmente in che modo l’esperienza e l’addestramento abbiano portato qualcuno a un livello di eccellenza chiaramente superiore alla norma, ci accontentiamo di etichettarlo come “talento naturale”.
Il sociologo Dan Chambliss fa notare, per esempio, che la biografia dei grandi nuotatori rivela moltissimi fattori che hanno contribuito al loro successo.
Quasi tutti hanno genitori interessati allo sport e abbastanza facoltosi da pagare i corsi di nuoto e le trasferte per le gare; senza contare l’accesso a una piscina e le migliaia di ore di allenamento nel corso degli anni.
“È facile cadere nella trappola del talento innato – spiega Dan – specie se l’unico contatto che si ha con gli atleti è una volta ogni quattro anni, guardando le Olimpiadi alla televisione”.
<Nessuno può vedere nell’opera dell’artista il suo divenire” scriveva Nietzsche. “La nostra vanità, il nostro amor proprio alimenta il culto del genio. Poiché se pensiamo il genio come qualcosa di magico, non siamo costretti a confrontarci e ammettere la nostra insufficienza […] Chiamare “divino” qualcuno equivale a dire “Non c’è da mettersi in gara”>.
In cosa consiste allora la grandezza?
Le grandi cose – dice Dan Chambliss – sono realizzate da <persone il cui pensiero è attivo in un’unica direzione, che impiegano qualunque cosa come materiale, che osservano sempre con grande zelo la vita interiore propria e altrui, che percepiscono ovunque modelli e incentivi>.
Che dire allora del talento?
L’illustre filosofo raccomandava di considerare i grandi esempi soprattutto come degli artigiani: <Non parlate di doni naturali, di talento innato! Si possono elencare grandi uomini di ogni genere che erano pochissimo dotati per natura. Hanno conquistato la grandezza, sono diventati dei “geni”, come li chiamiamo noi […]. Tutti loro possedevano la serietà del bravo lavoratore, che impara a costruire le parti come si deve, prima di avventurarsi a dare forma alla grande totalità>.
Allora, se il talento, la grandezza è in continua costruzione e la si può conquistare con l’impegno, la dedizione, la grinta, come possiamo noi genitori educare alla grinta?
Angela Duckworth afferma che il terreno fertile dal quale far fiorire tutto il potenziale dei nostri figli è costituito da uno stile genitoriale che vede genitori molto esigenti ma, nel contempo, disposti ad offrire tanto sostegno emotivo ai propri figli (genitori che l’autrice definisce saggi).
In altre parole, se i nostri genitori sono affettuosi, rispettosi ed esigenti, non solo seguiamo il loro esempio, ma lo ammiriamo. Non solo obbediamo alle loro richieste, ma comprendiamo perché ce le fanno e magari vogliamo seguire la stessa strada. È importante precisare che non tutti i figli di genitori psicologicamente saggi saranno necessariamente molto grintosi, perché non tutti quei genitori sono un modello di grinta: è possibile essere esigenti e affettuosi senza, tuttavia, manifestare passione e perseveranza (ovvero grinta) in vista di scopi lontani.
Pertanto, se volete stimolare la grinta nei vostri figli, chiedetevi anzitutto:
“Quanta passione e perseveranza ho per i miei fini personali?”
“Il mio stile educativo incoraggia i miei figli a emularmi?”
Se le risposte a entrambe le domande sono positive, vuol dire che li state già educando alla grinta, in caso contrario, mettetevi in discussione, andate alla ricerca del perché avete smesso di appassionarvi e di essere pervicaci nei confronti dei vostri obiettivi e, se vi va, condividete le vostre riflessioni, le vostre domande cosicché possiamo insieme crescere e migliorarci.
Non perdete la seconda parte dell’articolo: Come educare i bambini alla grinta.
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